Gaetano Pesce

A noi, su tutto, piace pensarlo per aver creato il più bell’omaggio che il mondo del progetto abbia fatto alla donna e alla sua condizione nel mondo, la poltrona UP5 di B&B. Un inno alla fertilità e alla femminilità accogliente che ha attraversato le epoche ed è ancora dopo più di quarant’anni uno dei simboli del design italiano.  Lui, Gaetano Pesce, spezino di nascita, monumento mite e dallo sguardo sorridente e ironico, di quell’italian design rappresenta  certamente ancora oggi una delle voci più indipendenti e originali. Interprete allora, nel cuore degli anni 60, di quell’anima del design radicale e d’avanguardia, Gaetano Pesce ha mantenuto nel tempo una poetica in cui arte, sperimentazione scultura design architettura, si mescolano a tutto tondo per creare segni e oggetti senza tempo. Le sue opere, oltre che in alcuni cataloghi di aziende leader quali Meritalia, B&B, etc., sono parte delle principali  collezioni permanenti di design di tutto il mondo.

Nella tua vita la parola bellezza significa?
Oggi la bellezza è molto relativa. Non esistono più degli ideali assoluti, piramidali. I valori sono frantumati e rispondono ad ogni singola persona. La mia idea della bellezza è l’imperfezione. Perché è umana, perché dà la possibilità di interpretarla e di finirla, almeno con la fantasia.

Qual è il primo oggetto, luogo o spazio che ricordi?
Un portolano del mare. E’ il libro che serviva ai naviganti per non andare a incagliarsi o addosso alle rocce. Io vengo da una famiglia di naviganti e in casa mia c’era questo manuale di navigazione, molto vecchio. Guardare quelle pagine in pergamena, per me è stato un modo per navigare con la fantasia

C’è un oggetto da cui non vorresti mai dividerti?
Il telefono. Ormai è diventato una cosa di cui non si può più fare a meno. Quando lo dimentico, mi accorgo che mi manca una cosa importante.

Qual è il tuo angolo o rifugio segreto? 
Casa mia, sull’East River a New York. Un posto privilegiato, da cui vedo le navi, le barche e l’acqua sempre in movimento. E’ vuota e ci vivo da solo, in questo spazio trovo le condizioni ideali per disegnare. Non ho mai voluto farla fotografare.

Quale stanza della casa che ti rappresenta di più?
La cucina. Per me è un luogo di sperimentazione, un laboratorio. Si va in cucina per creare e anche per sopravvivere. In camera da letto si va per dormire e per la procreazione, la differenza è che in camera da letto non si può cucinare, mentre in cucina si può anche fare l’amore.

In casa tua sono ammessi oggetti brutti?
Si. Amo anche l’ordinario. A volte l’ordinario ha un’immensa poesia. Non ho cose ricercate, ho cose che servono senza nessuna pretesa.

Cos’è per te il design?
Tutto. Il significato originale della parola è progetto. Il progetto di andare al cinema, di una torta, di un viaggio… Non ha un significato così ristretto come si vuole credere, legato a un’idea di estetica o buona forma. Il design è il progetto, quindi un metodo per fare le cose.

Se fossi un oggetto di design, quale ti piacerebbe essere e quale oggetto vorresti avere inventato?
La lampadina. E’ stata un’invenzione eccezionale che ha consentito il dilatamento della vita, vivere le ore notturne. Certo, è un surrogato, ma è veramente un’alternativa alla luce del sole, la cosa più straordinaria che ci sia. Chi l’ha inventata ha tutta la mia invidia e se l’avessi inventata io sarei felice.

Cosa ti annoia e cosa ti diverte?
Mi annoia la ripetizione e amo lo shopping. Sono un paladino del consumo. Penso che conoscere significhi consumare, musica, libri, viaggi, essere contrari è reazionario

Se non fossi tu, chi vorresti essere?
Ci ho pensato molte volte e mi riesce difficile pensare che non avrei fatto quello che ho fatto. Però ho ancora i riflessi pronti e credo che sarei stato un ottimo tennista.

 

SFOGLIA LA GALLERY

×